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Presentazione

In passato la psicoterapia non era sorretta e guidata da riscontri empirici: molti interventi erano
probabilmente utili, ma quali realmente lo fossero e quali invece risultassero inefficaci oppure iatrogeni,
costituiva tema per opinioni e aneddoti (Westen, Novotny e Thompson-Benner, 2004). Coriat, fin dal
1917, riferiva che il 73% dei 93 pazienti trattati era guarito o molto migliorato, ma la valutazione del
miglioramento era stata enunciata dal clinico che aveva svolto la terapia, seguendo criteri non specifi-
cati, omettendo dettagli clinici e prove convincenti (Wallerstein, 2001). In tempi più recenti, l’avvertita
necessità tanto di colmare lo iato tra clinica e ricerca quanto di giustificare l’impegno economico, e non
solo, che richiede lo svolgimento di una psicoterapia, ha richiamato l’attenzione sull’importanza di adot-
tare trattamenti di riconosciuta efficacia (Deegar e Lawson, 2003; Sirigatti, 1994).

Nel frattempo l’orizzonte degli obiettivi considerati dall’intervento psicologico si è ampliato, fino
a includere – superando i confini della psicopatologia – la sfera del benessere. In effetti, la psicoterapia
si è tradizionalmente dedicata a comprendere e trattare manifestazioni psicopatologiche, focalizzandosi
su trauma, sindromi, disturbi e carenze, nella convinzione che la salute mentale consistesse nella mera
assenza di sintomi. In tempi relativamente recenti – notano Seligman, Rashid e Parks (2006) – l’attenzio-
ne si è gradualmente spostata sugli aspetti positivi della vita come la felicità, il benessere psicologico, le
risorse personali, l’autorealizzazione, il pieno funzionamento psicologico, oppure la maturità personale.
Temi non del tutto nuovi per la psicologia, se si riflette che, prima della seconda guerra mondiale, questa
disciplina aveva tre missioni: curare i disturbi mentali, rendere la vita di tutte le persone più gratificante
e identificare e valorizzare il talento (Seligman,1998).

Sull’onda di queste riflessioni, che sostanziano il progetto della psicologia positiva, Rashid e Oster-
mann (2009) osservano che tradizionalmente l’assessment clinico ha esplorato le carenze della salute
mentale, identificando sintomi, deficit e disturbi, trascurando di considerare anche le risorse. In so-
stanza – seguendo linee già indicate da Snyder, Berg e Thompson (2003) – sostengono la necessità di
adottare un modello di assessment integrato, articolato su quattro aree di indagine: carenze e risorse in-
dividuali, carenze e risorse presenti nel contesto ambientale. Nello sviluppare questa matrice a quattro
caselle, quelle relative agli aspetti individuali dovranno considerare risorse soggettive quali la saggezza,
l’orientamento verso il futuro, le aspettative, la trascendenza, le strategie di coping. D’altro canto, la
casella concernente le carenze individuali dovrà riguardare gli affetti negativi, l’ansietà, la depressione,
la rigidità mentale, i sintomi fisiologici, le somatizzazioni, i conflitti sociali, l’alienazione dalla vita e gli
“altri problemi”.

Sotto il profilo più specificamente metodologico, anche prima del movimento degli Empirically Sup-
ported Treatments (Chambless, 1996; Chambless e Ollendick, 2001; Kendall, 1998), erano stati elaborati
orientamenti assai sistematici e articolati. Knight, fin dal 1941, aveva proposto per la verifica degli ef-
fetti della psicoterapia, l’uso di molteplici indicatori: il miglioramento dei sintomi, della produttività
lavorativa, dei rapporti personali, dell’attività psicosessuale, nonché un’aumentata abilità nell’affrontare
usuali conflitti psicologici e nel reagire agli stress quotidiani. Meehl (1955) aggiungeva che uno studio
attendibile in questo settore dovesse rispondere ad almeno quattro requisiti fondamentali: l’inclusione
nel progetto di ricerca di gruppi di controllo, l’adozione di molteplici criteri di efficacia, la misurazione
obiettiva del comportamento del paziente al di fuori del setting, lo svolgimento del follow-up. Bergin
(1971) insisteva sull’importanza di usare interviste valutative, questionari di personalità, tecniche di

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